Si può fare molto per migliorare la qualità della vita delle persone con lesioni al midollo spinale. Prima fra tutte, incentivare la ricerca: esistono pochissimi gruppi che si occupano di questo argomento, quello da me coordinato è quasi l’unico nel panorama italiano». Così Alfredo Gorio, professore ordinario di farmacologia della facoltà di Medicina dell’Università di Milano, introduce gli ultimi risultati sul trauma spinale ottenuti dalla sua equipe di ricerca.
Professore, qual è la situazione per chi ha subìto un trauma spinale nel nostro paese?
«Indubbiamente difficile, per vari motivi. Sono più di 75mila le persone che hanno questo problema cronico in Italia. Abbiamo dei dati molto significativi: è stato calcolato che l’assistenza a un paraplegico nell’arco di tutta la sua vita costa un milione di euro, un tetraplegico più di tre milioni. Nel complesso, una spesa di 100 miliardi di euro, dieci volte superiore a quella dei tumori. Ma non è solo il discorso della spesa sanitaria che va affrontato meglio».
Quali sono gli altri aspetti?
«Finalmente sono stati devoluti fondi dallo Stato per implementare la rete delle Unità spinali sul territorio nazionale, carenti soprattutto al Centrosud. Ben 10 milioni e mezzo di euro all’anno per i prossimi tre anni è la cifra che è stata stanziata per potenziare l’assistenza a favore dei pazienti immobilizzati. L’organizzazione di queste Unità è fondamentale: si tratta di strutture specializzate nella cura e nella riabilitazione che permettono una ripresa della vita. Rimane, dunque, il problema della ricerca scientifica: fondamentale sarebbe aumentare le possibilità di studio su questo delicato tema, proprio ora che abbiamo ottenuto dei buonissimi risultati».
Ci descrive, dunque, la ricerca svolta dal suo gruppo?
«Da vari anni ci occupiamo del trauma spinale dal punto di vista neurologico e traumatologico. In particolare, lo abbiamo analizzato sia nella fase acuta che in quella cronica. In base ai risultati ottenuti negli ultimi mesi, possiamo dire che nei prossimi anni sarà possibile intervenire con un mix di farmaci per influenzare la risposta neuroinfiammatoria o ischemica acuta dopo il trauma. Poi c’è lo strumento utilissimo delle cellule staminali adulte, e riguardo a queste, abbiamo delle
novità importanti».
Quali sono queste novità?
«Le staminali adulte rappresentano un notevole supporto soprattutto per i pazienti già lesionati. Nei nostri esperimenti, abbiamo iniettato in topi staminali adulte prelevate dal loro cervello, 24 ore dopo l’induzione di un trauma spinale. Il 2-3% di queste cellule raggiunge il midollo ed entro 15 giorni l’animale ricomincia a camminare perché recupera la funzionalità degli arti posteriori. Il problema è che queste cellule esercitano la loro azione finché rimangono vive, cioè mantengono la loro staminalità: dopo poche settimane, infatti, perdono questa caratteristica e subiscono l’aggressione dei macrofagi, i tipici attori della risposta infiammatoria estremamente attivi in questo contesto. In poche parole, le staminali vengono eliminate e il beneficio non viene mantenuto. Ma gli studi sono proseguiti».
E dunque?
«Abbiamo evidenziato un sottotipo di staminali adulte neurali che sembrerebbero resistere a questa attività macrofagica e, soprattutto, sarebbero in grado di differenziarsi in neuroni. È la prima volta che si verificherebbe una vera e propria riparazione del tessuto lesionato. In questo sta l’importanza dei nuovi dati ottenuti».
Quali sono i prossimi obiettivi?
«Adesso dobbiamo rinforzare questi risultati e, almeno per i prossimi due anni, proseguiremo gli studi sperimentali sulle cavie. Naturalmente, se arriveranno conferme positive, si potrà immaginare un giorno di passare alla sperimentazione sull’uomo».
È esatto dire che le cellule staminali embrionali non hanno dato per questo tipo di patologia nessun risultato?
«Le staminali embrionali, se iniettate, hanno dimostrato di non essere capaci di arrivare solo dove servirebbero, cioè nei tessuti midollari lesionati, ma si sono distribuite in tutto il midollo, quindi possiedono un minore "tropismo". Non sempre l’enorme flessibilità di queste cellule "bambine" può rappresentare un vantaggio. Attenzione dunque a non diffondere falsi messaggi sulle capacità curative di queste cellule, soprattutto per quanto riguarda il trauma spinale. Il rispetto degli oltre 75mila italiani costretti in carrozzina passa anche attraverso questo».