giovedì 29 marzo 2007

QUARENGHI 2007

Vorrei lanciare un'iniziativa, che spero possiate accogliere con piacere. Molti di noi sono stati al Quarenghi e ne conservano un ricordo bellissimo. Io per primo ne ho fatti 6 e di ciascuno ho una memoria particolare ed indelebile.

Invito dunque tutti voi che leggete questo blog ed in passato avete partecipato al Quarenghi a scrivere i vostri ricordi, le vostre impressioni, e soprattutto i vostri motivi per convincere più ragazzi possibile a venire quest'anno. Spero davvero che possiate accogliere in molti il mio invito.

Scrivete il vostro contributo a mpvtoscanagiovani@gmail.com e provvederò a pubblicarlo quanto prima su questo blog.

SCRIVETE, SCRIVETE, SCRIVETE


Andrea
23° Life Happening
MUOVI LA VITA!

28 luglio - 4 agosto, Roseto degli Abruzzi (Te)


Una settimana ricca di divertimento e testimonianze per conoscere sempre meglio le immense ricchezze del popolo della vita. Le relazioni, il cineforum ed i laboratori, ci aiuteranno a comprendere il senso profondo della Mission del Movimento Per la Vita Italiano, il suo ruolo di promotore dei diritti umani e il servizio alla mamma e al bambino, reso dai Centri di Aiuto alla Vita. Ospiti illustri e tante altre sorprese per una vacanza che ti cambia davvero la vita!

Il Residence è particolarmente accogliente. È composto da miniappartamenti, bilocali con 6 posti letto per i giovani e bilocali con 4/5 posti letto per le famiglie. In albergo c’è la piscina, la sala giochi, la discoteca per fare 4 salti insieme la sera; organizzeremo una fantastica festa in spiaggia e tanto altro ancora. Roseto degli Abruzzi è una localtà premiata con la bandiera BLU; saranno organizzate escursioni sul Gran Sasso d`Italia (altre info sull’albergo www.residencefelicioni.com)

Se volete sapere di più telefonate a:
Leo Pergamo 3332552585
oppure mandate una mail a: giovani@mpv.org

PREZZO: tutto compreso….!
€ 240,00 Giovani dai 16 ai 28 anni non compiuti€ 280,00 Giovani dai 28 ai 35 anni€ 600,00 Per coppia, Giovani Famiglie max 40 anni; i bambini da 0 a 2 anni gratis, da 2 a 10 anni offerta libera, oltre i 10 anni sconto 30%

Iscrizioni entro il 30 giugno 2007.
Saranno accettate e conteggiate solo le iscrizioni pervenute con scheda d’iscrizione compilata e copia dell’acconto di € 150,00.
Per prenotare inviare una quota di anticipo di euro 150,00 sul Conto corrente postale n. 74835000 Intestato a: Movimento per la vita italiano – Via Cattaro, 28 – 00198 Roma Specificando causale: Life Happening 2007
Compilare la scheda di prenotazione in stampatello e spedire via fax o e-mail al Movimento per la vita italiano insieme alla copia del bollettino del versamento di anticipo effettuato.
fax: 06/86322953

venerdì 23 marzo 2007

J'accuse di René Girard

Volevo parlare ancora dei famosi Dico, non perchè ne parlano tutti, ma perchè tutti ne parlano male. Stavo per iniziare a scrivere quando il mio caro amico Lorenzo mi manda questo articolo che non posso fare a meno di pubblicare. E' lungo ed in alcuni tratti penalizzato dalle esigenze di sintesi giornalistica, forse la patina talora troppo intellettualistica scoraggerà la vostra lettura, ma vi invito a leggerlo tutto perchè mette a nudo il peccato originale dell'uomo dei nostri giorni. Lucido, razionale, inconfutabile.

Buona lettura



da Il Foglio, 20 marzo 2007

Gli intellettuali sono castratori di significato: "Dopo il linguaggio stanno decostruendo l'uomo". Microeugenetica, un sacrificio umano. "La sessualità è il problema, non la soluzione".
Le idee spietate di un grande pensatore.

Nonostante gli ottantaquattro anni, René Girard non ha perso niente della fibra di pensatore radicale, quasi terminale. Sta lavorando a un nuovo saggio su Karl von Clausewitz. Autore di opere capitali del pensiero contemporaneo come "La violenza e il sacro" e "Il capro espiatorio", eletto fra i quaranta "immortali" dell'Académie française, René Girard è il più grande antropologo vivente insieme a Claude Lévi-Strauss. In questa intervista al Foglio, Girard torna su quella che ha definito "la grande questione antropologica del nostro tempo".

Apre con una domanda: "Può esserci una antropologia realistica che precede la decostruzione? In altre parole: è lecito e ancora possibile affermare una verità universale sul genere umano? L'antropologia contemporanea, strutturalista e postmoderna, nega quest'accesso alla verità. Il pensiero attuale è la castrazione del significato. Sono pericolosi questi tentativi di mettere in discussione l'uomo". E' questa l'origine, secondo Girard, dello "skandalon" della religione nell'epoca della neosecolarizzazione. "A partire dall'illuminismo, la religione è stata concepita come puro non sense. August Comte aveva una teoria precisa sull'origine della verità e il suo intellettualismo ottocentesco ricorda molto quello in voga oggi. Comte diceva che ci sono tre fasi: religiosa, che è la più puerile; filosofica e infine scientifica, la più vicina alla verità. Oggi nel discorso pubblico si mira a definire la 'non verità' della religione, indispensabile invece per la sopravvivenza della specie umana. Nessuno si domanda quale sia la funzione della religione, si parla solo di fede: 'Io ho fede'. Ma poi? La teoria rivoluzionaria di Charles Darwin sperava di aver dimostrato l'inutilità di una istituzione antica quindicimila anni come la religione. Oggi ci si prova nella forma del caos genetico enunciato dal neodarwinismo. Si prenda uno scienziato come Richard Dawkins, è un pensatore estremamente violento e vede la religione come qualcosa di delinquenziale". La religione ha una funzione che va oltre la fede e la veridicità del dono monoteista: "La proibizione dei sacrifici umani. Il mondo moderno ha deciso che è la proibizione il non sense. La religione è tornata a essere concepita come il costume del buon selvaggio, uno stato primitivo di ignoranza sotto le stelle. La religione è invece necessaria a reprimere la violenza. L'uomo è una specie unica al mondo: l'unica che minacci la propria sopravvivenza attraverso la violenza. Gli animali durante la gelosia sessuale non si uccidono a vicenda. Gli esseri umani sì. Gli animali non conoscono la vendetta, la distruzione della vittima sacrificale legata alla natura mimetica delle moltitudini plaudenti". Oggi si accetta solo una definizione di violenza come pura aggressione: "E' perché si vuole renderla innocente. La violenza umana è invece desiderio e imitazione. Il postmodernismo non riesce a parlare di violenza: la pone fra parentesi e semplicemente ne ignora l'origine. E con essa la verità più importante: la realtà è da qualche parte accessibile".

René Girard proviene dal radicalismo francese. "Mi sono riempito la testa con le pagliacciate e il semplicismo mediocre e stupido dell'avanguardia. So bene quanto la negazione postmoderna della realtà possa condurre al discredito della domanda morale dell'uomo. L'avanguardia un tempo relegata in ambito artistico oggi si estende a quello scientifico che ragiona sull'origine dell'uomo. In un certo senso, la scienza è diventata una nuova mitologia, l'uomo che crea la vita. Così, ho accolto con grande sollievo la definizione di Joseph Ratzinger di 'riduzionismo biologico', la nuova forma di decostruzione, il mito biologista. Mi ritrovo anche nella distinzione dell'ex cardinale fra scienza e scientismo".

L'unica grande differenza fra l'uomo e la specie animale è la dimensione religiosa. "E' questa l'essenza dell'esistenza umana, è l'origine della proibizione dei sacrifici e della violenza. Dove si è dissolta la religione, lì è iniziato un processo di decomposizione. La microeugenetica è la nuova forma di sacrificio umano. Non proteggiamo più la vita dalla violenza, schiacciamo invece la vita con la violenza. Per cercare di appropriarci del mistero della vita a nostro beneficio. Ma falliremo. L'eugenetica è il culmine di un pensiero iniziato due secoli fa e che costituisce il più grande pericolo per la specie umana. L'uomo è la specie che può sempre distruggere se stessa. Per questo ha creato la religione". Oggi ci sono tre aree in cui l'uomo è in pericolo: nucleare, terrorismo e manipolazione genetica. "Il Ventesimo secolo è stato il secolo del classico nichilismo. Il Ventunesimo sarà il secolo del nichilismo affascinante. Aveva ragione C. S. Lewis quando parlava di 'abolizione dell'uomo'. Michel Foucault aggiunse che l'abolizione dell'uomo sta diventando un concetto filosofico. Non si può più parlare oggi dell'uomo. Quando Friedrich Nietzsche annunciò la morte di Dio, in realtà stava annunciando la morte dell'uomo. L'eugenetica è la negazione della razionalità umana. Se si considera l'uomo come mero e grezzo materiale da laboratorio, un oggetto manipolabile e malleabile, si può arrivare a fargli qualsiasi cosa. Si finisce per distruggere la fondamentale razionalità dell'essere umano. L'uomo non può essere riorganizzato".

Secondo Girard, oggi stiamo perdendo di vista anche un'altra funzione antropologica, quella del matrimonio. "Una istituzione precristiana e valorizzata dal cristianesimo. Il matrimonio è l'indispensabile organizzazione della vita, legata alla richiesta umana di immortalità. Creando una famiglia, è come se l'uomo perseguisse l'imitazione della vita eterna. Ci sono stati luoghi e civiltà in cui l'omosessualità era tollerata, ma nessuna società l'ha messa sullo stesso piano giuridico della famiglia. Abbiamo un uomo e una donna, cioè sempre un'opposizione. Alle ultime elezioni americane del 2006, la vera vittoria è stata del matrimonio naturale ai referendum".

L'Europa è immersa in quella che l'arabista della Sorbona Rémi Brague chiama noia metafisica. "E' una bella definizione, anche se mi pare che la superiorità del messaggio cristiano diventi ogni giorno più visibile. Quando è più attaccato, il cristianesimo brilla di maggiore verità. Essendo la negazione della mitologia, il cristianesimo splende nel momento in cui il nostro mondo si riempie di nuove mitologie sacrificali. Lo skandalon della rivelazione cristiana l'ho sempre inteso in maniera radicale. Nel cristianesimo, anziché assumere il punto di vista della folla, si assume quello della vittima innocente. Si tratta di un capovolgimento dello schema arcaico. E di un esaurimento della violenza".

Girard parla di ossessione per la sessualità. "Nei Vangeli non c'è nulla di sessuale e questo fatto è stato completamente romanticizzato dalla gnosi contemporanea. La gnosi da sempre esclude categorie di persone e le trasforma in nemici. La cristianità è l'esatto contrario della mitologia e della gnosi. Oggi avanza una forma di neopaganesimo. Il più grande errore della filosofia postmoderna è aver pensato che potesse gratuitamente trasformare l'uomo in una macchina di piacere. Da qui passa la disumanizzazione, a cominciare dal desiderio falso di prolungare la vita sacrificando beni più grandi". La filosofia postmoderna si basa sull'assunzione che la storia sia finita. "Da qui nasce una cultura schiacciata sul presente. Da qui origina anche l'odio per una cultura forte che afferma una verità universale. Oggi si crede che la sessualità sia la soluzione a tutto, invece è il problema, la sua origine. Siamo continuamente persuasi da una suggestiva ideologia del fascino. La decostruzione non contempla la sessualità all'interno della follia umana. La nostra pazzia è dunque nel voler banalizzare la sessualità facendone qualcosa di frivolo. Spero che i cristiani non seguano questa direzione. Violenza e sessualità sono inseparabili. E questo perché si tratta della cosa più bella e turpe che abbiamo".

lunedì 19 marzo 2007

Intervista al ginecologo Giorgio Pardi

Pubblico un'intervista al ginecologo Giorgio Pardi comparsa il 20 aprile 2006 sull'inserto di Avvenire "E' Vita". Pardi non aderisce al Movimento per la Vita ed è stato anzi uno dei primi medici in Italia a praticare aborti dopo l'introduzione della legge 194, recentemente ha tuttavia favorito e sostenuto l'ingresso dei volontari e del personale dei CAV all'interno degli Ospedali. Pardi non è certo una voce di parte, ha semplicemente capito che la competenza e soprattutto l'umanità di queste persone può davvero aiutare tante donne in difficoltà a fare la scelta giusta, che, al di là delle convinzioni personali, è sempre la Vita.

Uno schiaffo a chi vorrebbe fare dei CAV una minaccia per le donne, un covo di fanatici pronti a combattere con tutte le armi.


Ma i consultori non erano stati istituiti allo scopo di sostenere le donne e rimuovere tutte le cause che le possano portare ad una decisione così dolorosa come l'aborto?


Convinciamo noi stessi e gli altri che l'opera dei CAV, non solo è sostenuta dalla legge 194, ma soprattutto deve essere considerata sacrosanta da tutti, anche da coloro che sostengono la legittimità dell'aborto.


Buona lettura.






«Non sono credente, ma amo ogni nuova vita»
di Andrea Galli (E' Vita, 20 aprile 2006)

Giorgio Pardi non è solo il direttore della più grande clinica ginecologica del nord Italia, la Mangiagalli di Milano: a ottobre è stato anche nominato membro onorario della Società americana di ginecologia e ostetricia. È la prima volta da un secolo a questa parte che l’associazione Usa conferisce questo riconoscimento a un italiano. Insomma, è uno a cui non mancano certo i titoli, dal punto di vista professionale, per occuparsi dei temi della vita nascente, della natalità, dell’aborto.



Professore, riprendiamo un tema che la campagna elettorale ha un po’ alterato. Secondo lei esiste un problema in Italia riguardo al supporto per le maternità "difficili", quelle cioè nelle quali la madre potrebbe decidere di abortire?


«Sì, esiste. E non è mai stato affrontato alla radice, per colpa delle ideologie e – me lo lasci dire – anche dei giornalisti che invece dell’informazione o della formazione del lettore inseguono banalmente lo scoop. Il problema si divide in due, secondo i due tipi di aborti: quelli entro 90 giorni, dove sostanzialmente è la donna che decide di abortire, e quelli dopo i 90 giorni dove in pratica è il medico che certifica il pericolo per la donna, soprattutto quando ci sono anomalie fetali. Sono due mondi completamente diversi. Non si può né descriverli né affrontarli con la stessa unità di misura».



Affrontiamo intanto il primo.


«Se dà un’occhiata alle statistiche della Lombardia vedrà che grosso modo il rapporto tra aborti entro i 90 giorni e quelli tardivi, cosiddetti terapeutici, è di 1 a 10 fino a 1 su 15. Per gli aborti entro i 90 giorni il problema è la non accettazione della gravidanza da parte della donna. A Milano, in Mangiagalli, ma anche in Lombardia e credo proprio in tutta Italia, il 40% delle donne che abortiscono sono extracomunitarie. Ergo, si deve affrontare il problema secondo la realtà in cui vive questo 40% di donne che ricorre all’aborto perché non ha soldi sufficienti, perché non vuole perdere il posto di lavoro, eccetera. Cioè, non è soltanto consigliando a queste donne di non abortire che si può riuscire a convincerle: bisogna intervenire in maniera sostanziale, attraverso un sostegno economico e sociale adeguato. Vede, io non sono credente ma amo la vita e per me un aborto – l’ho detto centomila volte – è un omicidio fatto per legittima difesa della donna. Per cui se riesco ad evitarne anche solo uno sono felicissimo. E per evitare soprattutto che abortisca questo 40% di donne extracomunitarie bisogna aiutarle dal punto di vista sociale e materiale. Fino a quando questo non viene visto come la lettera A dell’alfabeto, è difficile andare avanti senza riempirsi semplicemente la bocca di considerazioni avulse dalla realtà».



È questo l’atteggiamento ideologico di cui parlava prima?


«Sì, esattamente. Se vuole capire meglio a cosa mi riferisco, pensi alla recente manifestazione nazionale di Milano in difesa della 194. Che la legge 194 non vada ritoccata a priori – tenga presente che sta parlando con la prima persona a fare l’aborto in Italia con la 194, insieme al mio maestro, il professor Candiani – mi pare assurdo. Perché non si può ritoccare la legge? Ma chi l’ha detto? Perché la legge 194 deve essere diversa dalle altre? Si ritocca se deve essere ritoccata. Perché a priori dire no? Si spieghi perché no. Io rifiuto gli apriorismi».



E delle donne italiane cosa può dire?


«Per l’altro 60% di donne che abortiscono, che sono appunto milanesi, lombarde, comunque italiane, il problema più che economico è esistenziale. La cultura di oggi ha fatto sì che la donna quando si sente dire "tu sei fatta per procreare", che è la pura verità biologica, anziché esserne gratificata si sente quasi offesa. L’emancipazione femminile è arrivata all’adozione di un modello totalmente maschile. Il vero problema, quindi, è la cultura della donna per come si è configurata nei Paesi occidentali, in particolare in Italia».



Passiamo al secondo tipo di aborto, quello cosiddetto terapeutico.


«Anche qui non si può non far riferimento a un problema culturale e sociale. Abbiamo creato la cultura del feto perfetto: la donna vuole, esige un feto perfetto e rifiuta il benché minimo grado di imperfezione. Oggi può capitare che una donna che fa un’ecografia si senta presentare il referto di un bambino che ha sei dita in un piede, il che è ovviamente un’anomalia, ma un’anomalia assolutamente compatibile con una qualità di vita perfetta. Per colpa anche del medico, che spesso non sa comunicare adeguatamente la diagnosi, ne nasce un dramma. Non c’è più, insomma, l’accettazione del pur minimo grado di difficoltà. Contro questa cultura bisogna battersi: perché un certo livello di accoglienza dell’imperfezione deve esistere, la natura è imperfetta. Una cosa importante che la gente dimentica è che l’interruzione terapeutica della gravidanza non dipende direttamente dal grado di imperfezione del feto: se così fosse, saremmo veramente crudeli. A determinarla è il cosiddetto rischio per la salute fisica o psichica che questa imperfezione ha per la donna».



Tornando al sostegno alla maternità: cosa va fatto concretamente?


«Innanzitutto la donna deve poter ricevere un counseling, una comunicazione adeguata, soprattutto in considerazione della possibilità di proseguire la gravidanza. Al centro di questa comunicazione non dev’esserci quello che l’interlocutore pensa sia giusto fare, ma deve esserci la donna, con il suo dramma. Donna a cui, però, va offerta rispettosamente un’altra prospettiva, diversa da quella dell’aborto. A questo proposito devo dire che, per esempio, il Centro di aiuto alla vita (Cav) attivo qui alla Mangiagalli, con i pochi fondi e i pochi spazi che ha, ha fatto veramente miracoli. E con un atteggiamento coerente con quello che le ho appena detto: mettendo cioè al centro di tutto la persona. Io sono felicissimo che ci sia il Cav, vorrei che fosse potenziato».



Quindi un adeguato e articolato sostegno umano...


«Sì. In secondo luogo l’informazione deve essere spostata dall’aspetto puramente tecnico alla considerazione della ricaduta che può avere sulla donna. La donna fa sempre una domanda: se io non abortisco come sarà questo bambino a dieci anni? La capacità di rispondere a interrogativi come questo è un’operazione medica molto difficile, che deve essere fatta con grandissimo scrupolo ed enorme prudenza e responsabilità da parte del medico. È necessario, poi, che esistano istituzioni capaci di offrire alla donna la possibilità di accettare il bambino diverso rispetto alle attese. Intendo dire che occorrono associazioni – per fare un esempio – che a una donna con un bambino down dicano: sappi che se scegli di proseguire la gravidanza ti offriremo un aiuto per stare vicino al bambino, per crescerlo; sappi che non resterai sola, che la tua esperienza è condivisa da moltissime altre persone. L’aborto è un fatto di estrema drammaticità. È giustissimo fare scegliere la donna, ma ponendola nelle condizioni di capire che si tratta di una scelta dolorosa».

venerdì 16 marzo 2007

Il nuovo libro di Carlo Casini

Carlo Casini, Unioni di fatto, matrimonio, figli. Tra ideologia e realtà, Società Editrice Fiorentina, 2007. 147 pagine, 12 €.

Perché in molti atti internazionali e nazionali la famiglia è dichiarata "nucleo fondamentale della società e dello Stato"? Vi è una differenza tra la famiglia e le altre forme di compagnia? E' vero che le persone conviventi sono oggi prive di ogni tutela? L'autore risponde a queste domande partendo da considerazioni giuridiche e da riflessioni sul senso del vivere umano, della società, della storia.


Non presento questo libro soltanto perché l'ha scritto il Presidente del Movimento per la Vita, ma perché veramente merita confrontarsi con il problema allontanandosi dal chiasso della campagna mediatica che si scatena in questi giorni attorno alla questione "Dico". Giornali, settimanali, Tg e Porte a Porte varie incrementano la propaganda, dividono l'opinione pubblica, politicizzano la questione, accantonando qualsiasi velleità di informare i cittadini. Chi ha letto il testo della proposta Bindi-Pollastrini alzi la mano e dica chi gliene ha parlato. Ammettiamo che un po' tutti parliamo per sentito dire ed è quindi molto comodo ripetere il solito ritornello "Si Vatican-No Vatican" per giustificare le nostre posizioni.

E allora ci cospargiamo ben bene dei nostri luoghi comuni e andiamo in giro dicendo di credere nella famiglia, ma che non ci dà affatto fastidio che si faccia una legge per i conviventi, oppure che vanno bene le unioni gay, ma per l'amor di Dio non devono adottare bambini, oppure che in Italia la Chiesa ci tiene tutti in pugno e questa è una battaglia di laicità (ma che significa laicità)?

Forse vale davvero la pena chiarirsi le idee ed il libro di Casini è un libro che rende ragione: parte cioè da principi netti e consolidati e li giustifica razionalmente cercando di liberarli dalle solite etichette banali e fuorvianti che i mass-media applicano a tutto ciò che richiede un minimo di approfondimento. Perché difendere la famiglia? Perché sostenere che leggi sulle unioni di fatto è superfluo (non ingiusto, si badi bene, ma superfluo, che per alcuni punti di vista è ancora più forte)? Perché certi valori che tradizionalmente vengono bollati come "cattolici" hanno invece un carattere universalmente giusto?

Queste pagine ci invitano ad uscire dal terreno viscoso delle ideologie e ad affacciarci davvero sulla realtà, stimolando l'uso di un organo, il cervello, e di una facoltà, l'intelletto, che molti spesso ci invitano/costringono ad accantonare.


A questo proposito mi permetto di consigliare un'altro libro, altrettanto interessante, che parte da presupposti diversi. Possiamo dire che è la pars destruens del libro di Casini: spiega le aporie di chi critica il concetto codificato di famiglia e denuncia l'impossibilità di sostenere l'esistenza di più modelli di "famiglia", tutti ugualmente validi.

Folena scrive sull'inserto di Avvenire, "E' Famiglia", e, sotto lo pseudonimo Tommaso Gomez, anche sull'altro inserto "E' Vita". Sono spesso articoli brevi e pungenti che demistificano e mettono a nudo la fragilità, se non addirittura la malafede, di tante opinioni accreditate come rispettabili o addirittura sacrosante da gran parte della stampa e della tv nazionale. Se non lo avete fatto, leggetelo: divertente ed intelligente.

Umberto Folena, I PACS della discordia, Ancora, 2006, 128 pagine, 10 €.






sabato 10 marzo 2007

Welby, la tentazione della «pulizia sociale»

Una lucida analisi, ma anche una perfetta sintesi di cosa significhi davvero Eutanasia. E' questo l'articolo più chiaro ed incisivo che sia uscito negli ultimi mesi sull'argomento. Non è brevissimo ma vale la pena leggerlo.

di Eugenia Roccella
(E' Vita, 7 dicembre 2006)

Si può davvero essere pienamente padroni della propria vita? Chi oggi combatte per ottenere una legge che consenta l’eutanasia, ritiene che sì, si può. L’autodeterminazione è il principio sovrano a cui uniformarsi e a cui sacrificare tutto, il faro che orienta e illumina ogni decisione. Così la richiesta di morte di Piergiorgio Welby, che di per sé esprime solo il pathos di una ribellione impossibile al Grande Male, diventa la lotta per ottenere il diritto civile di morire quando si vuole. Eppure anche nella vicenda personale di Welby, trasformato in una bandiera vivente che dovrebbe incarnare l’orrore di una vita senza qualità, si rintracciano tutte le contraddizioni di questa assurda battaglia per la morte.

La legge italiana non obbliga nessuno a seguire una terapia contro la propria volontà: quando l’avanzare della malattia gli ha reso impossibile respirare, e gli è stata proposta la tracheostomia, Welby poteva dire no. Invece ha detto sì, acconsentendo a dipendere da quella macchina per la respirazione artificiale che oggi chiede di staccare. Nel suo libro racconta di come la moglie non ce l’abbia fatta a ubbidire alle sue indicazioni, e abbia deciso, nonostante gli accordi, di fargli praticare l’intervento. Ma è difficile accettare l’idea che l’impulso ragionato di una donna che vuole bene sia solo una debolezza, un atto senza valore, catalogabile come un incidente di percorso. L’autodeterminazione può confliggere quindi con altre determinazioni, per esempio con quella di chi è accanto al malato, e mette in gioco la propria vita (e la sua qualità) nella vita quotidiana della persona amata.

E come escludere il medico curante da una decisione sulla vita e la morte di un paziente? Nei confronti del medico oggi c’è una strana ambivalenza, che oscilla tra la delega in bianco e l’assoluta indifferenza per il suo sapere e la sua etica professionale e umana. Quando, nel dibattito sulla procreazione assistita, si trattava di decidere se limitare il numero degli embrioni da impiantare, i sostenitori del referendum affidavano ogni decisione all’esperto. Soltanto lo specialista poteva decidere sulla salute della donna e sulla vita degli embrioni; adesso, invece, far pesare in qualche misura il parere del medico diventa un limite per la volontà liberamente espressa dal paziente. Il compito di chi segue e assiste il malato è ridotto a quello di un semplice esecutore, come se dare la morte non fosse comunque, e per chiunque, un grave problema morale.

I radicali puntano il dito sull’esistenza dell’eutanasia clandestina (appena smentita da Rutelli nella risposta a una interrogazione parlamentare) e chiedono che tutto sia chiarito da una legge, da una casistica burocratica che non faccia sfuggire nulla tra le proprie maglie. La luce dell’autodeterminazione deve illuminare impietosamente anche le zone grigie, i momenti più intimi, in cui magari si preferirebbe essere affidati agli affetti e all’esperienza delle persone più che alla rigidità di una norma. Nel passaggio tra la vita e la morte tutto è ombra, e le valutazioni devono misurarsi con l’unicità di ogni situazione personale. Quello che per qualcuno è davvero una libera decisione, per un altro è solo l’abbandono a un momento di sconforto; e lo stesso trattamento in un caso può essere accanimento terapeutico e in un altro cura essenziale. Solo nel rapporto concreto tra familiari, medico e paziente, tra chi assiste il malato quotidianamente e il malato stesso, si può concordare come si possa svolgere l’accompagnamento alla morte.
Ma per i sostenitori della libera scelta c’è solo una domanda, quella che ha posto Welby all’Ordine dei medici, sentendosi opporre un rifiuto: «È mia ferma decisione rinunciare alla ventilazione polmonare assistita. Staccare la spina mi porterebbe a una agonia lunga e dolorosa. Anche una sedazione protratta nel tempo non mi garantirebbe una morte immediata senza dolore. Chiedo: è possibile che mi sia somministrata una sedazione terminale che mi permetta di poter staccare la spina senza dover soffrire?» La domanda è esplicita: non il semplice rifiuto della terapia, non il ricorso a cure palliative che leniscano la sofferenza, ma il "colpo di pistola", cioè una sedazione che porti alla morte immediata.

Benché nessuno, nemmeno i radicali, abbia il coraggio di chiamare le cose con il loro nome, e tutti si affannino a negare che si tratta di eutanasia, di che altro si parla? Dire sì alla richiesta di Welby vuol dire affidare allo Stato il terribile potere di uccidere. Certo, il candidato alla morte deve essere consenziente. Ma chi vigilerà sull’autenticità e libertà di quel consenso, se l’unico interlocutore del malato è lo Stato? Nei Paesi in cui l’eutanasia è legge l’automatismo della morte burocratica tende ad annettersi zone improprie, travalicando e vanificando la libertà dell’individuo. Si comincia ad ammettere l’eutanasia per le sofferenze e il disagio psichici (come in Belgio), poi si tende a giustificarla per i disabili, o per i neonati con scarsa probabilità di sopravvivenza (come in Olanda). I criteri di qualità della vita, astrattamente e rigidamente stabiliti, finiscono per fare dell’eutanasia una forma di pulizia sociale che spazza via i deboli, i poveri, gli incapaci, quelli troppo costosi da curare, quelli che sono un peso per la collettività. Il miraggio dell’autodeterminazione, in questo modo, naufraga nella banalità dei conti pubblici che non tornano, nel mito bugiardo della qualità della vita, nell’ambigua invocazione alla compassione per le sofferenze dell’altro.

venerdì 9 marzo 2007

Million Dollar Baby: ricchi e soli?

Faccio due premesse. La prima è che parlare di questo film non è per niente facile e dunque il mio non sarà un giudizio definitivo, ma semplicemente una riflessione. La seconda premessa è che non ho visto il successivo dibattito di Porta a Porta.

Detto questo, dico che Million Dollar Baby è davvero un bel film, ma forse, dopo aver visto un vero capolavoro come Mystic River, mi aspettavo di più e credevo che Eastwood avesse la crudezza, ma anche la sensibilità necessarie per trattare un tema così delicato. Non so, ma mi sembra che manchi qualcosa, non negli attori né nella capacità di descrivere l'America, forse in qualcos'altro, ma ripeto non è un'opera d'arte come Mystic River.
A parte questa critica del tutto opinabile, credo (e questo è l'aspetto più importante) che non si possa fare di questo film un manifesto ideologico. Spesso si tende ad identificare la bellezza di un film con la nostra adesione o meno al messaggio che esso intende veicolare. In questo caso credo che sia stato fatto (bene ma non nel migliore dei modi) il ritratto di una situazione reale, di affetti, contraddizioni e miserie che purtroppo esistono. Il film è solo il ritratto di una realtà e al di là della contrastata decisione finale di togliere la vita, dobbiamo concentrarsi su altro, lasciando perdere le varie trincee ideologiche.

Una sola parola può descrivere una situazione come quella: SOLITUDINE. Un uomo solo assiste una donna sola nell'unico letto di una stanza per il resto vuota. Intorno l'ospedale più o meno indaffarato in altro e le infermiere con il loro affetto così professionale. Basta. E la scelta di morire è davvero libera e consapevole in questa situazione di solitudione e dolore? La soluzione è accogliere ed assistere, farci carico TUTTI (non solo lo Stato, ma tutti) del dolore degli altri.
La soluzione è davvero quella di togliere la vita? Al massimo potrebbe essere la soluzione estrema. Ma prima viene la CURA, fatta di sacrifici e d'AMORE, che nobilita e dà dignità all'uomo più di quanto possano farlo le cure dimagranti, i safari in Kenya o la chirurgia plastica delle PERSONE SANE. Lì dove sta l'amore?
Andrea