martedì 24 aprile 2007

Ma ci prendono in giro ?

Credo che il fatto si commenti da solo. Mi limito solo a far notare che i Governi italiani ed europei (attuali e passati) fanno affari, trattano e contrattano, fanno visite ufficiali ed ospitano i rappresentanti della Repubblica Popolare Cinese e nel frattempo celebrano (giustamente) la giornata della memoria e definiscono "male assoluto" l'olocausto degli ebrei. Intanto i TG non trovano niente di meglio da fare che indottrinarci ben bene su Dico, Cogne, il Principino Harry d'Inghilterra o Segolene Royal. Olocausto dimenticato? O forse immolato sull'altare del dio capitalismo?
Ma i nostri politici dalle facce più o meno sorridenti e pacioccone queste cose le sanno ? Se le sanno allora ci prendono in giro, perché non proferiscono parola e preferiscono sedersi allo stesso tavolo con i capoccia della Repubblica Popolare Cinese. Chi oggi tratta con quella gente è uguale a chi 70 anni fa lasciò costruire ad Hitler i suoi lager e sterminare milioni di vite innocenti.



Guangxi, il governo costringe all'aborto forzato 61 donne, anche incinte al nono mese

Dopo i farmaci killer, He Caigan, incinta di nove mesi, e Wei Linrong, hanno partorito i loro figli morti. La gente denuncia i ricchi, che possono avere molti figli, mentre i poveri sottostanno alla legge del figlio unico.


Continua la spietata campagna abortiva del governo cinese: il 17 aprile scorso, nella provincia meridionale del Guangxi, 41 donne sono state costrette ad abortire dalla polizia, che le ha trascinate in un ospedale locale per eseguire l’interruzione di gravidanza. Il giorno dopo, la stessa sorte è toccata ad almeno altre 20 donne. Lo denuncia la China Aid Association (Caa), un'organizzazione non governativa con base negli Stati Uniti che opera per la libertà religiosa ed il rispetto dei diritti umani in Cina.
Secondo alcuni testimoni oculari, gli agenti della provincia hanno trasportato le donne dentro l’ospedale del Popolo nel distretto di Youjiang, dove è stato iniettato loro un farmaco abortivo. Gli agenti erano guidati dai funzionari dell’Ufficio per la pianificazione familiare nazionale. Nel giro di 24 ore, sono morti 61 feti. Nel letto numero 37, i medici hanno eseguito l’iniezione nella testa del figlio di He Caigan, incinta di nove mesi. Dopo 20 minuti di sofferenze, il bambino – pronto a nascere – ha smesso di muoversi nell’utero materno ed è morto. Nella serata del 18, Wei Linrong – moglie del pastore cristiano James Liang – ha dato alla luce il figlio già morto. Alla donna erano state iniettate cinque dosi del farmaco killer.
Dopo le denunce della Caa, il governo ha inviato altri agenti a difesa degli ospedali dove avvengono gli aborti. In Cina, infatti, è da tempo in corso una protesta della popolazione contro Pechino, che permette alle coppie ricche o famose di ignorare la famigerata legge sul figlio unico, applicata invece con durezza contro i meno abbienti.
La politica di controllo familiare, caposaldo del governo comunista, colpisce al momento circa 90 milioni di famiglie cinesi. Questo provoca problemi sociali come lo squilibrio fra i sessi e l’invecchiamento della popolazione.
Dal 1978 è consentito un solo figlio ai residenti urbani e due ai contadini. Il Paese è passato dai 5,83 figli per coppia negli anni '70 a 2,1 bambini nel 1990 e agli 1,8 attuali. Il governo vuole che, nel 2010, la popolazione non superi gli 1,37 miliardi. Questa politica ha portato a un gran numero di aborti e uccisioni di neonati femmine, per avere un maschio che porti il nome della famiglia.


sabato 14 aprile 2007

Rinunciare ad essere amati, per non rinunciare mai alla nostra identità

Ma siamo davvero in democrazia? Accendo la televisione, leggo i giornali, discuto con qualcuno e non c'è un santo giorno che passi senza che ci chiamino oscurantisti, intolleranti, liberticidi. Ormai siamo bollati con questi pochi, infamanti aggettivi e chi si è visto si è visto. In pochi ci ascoltano, quasi tutti ci affibbiano etichette e la nostra nella migliore delle ipotesi è quella del teo-con. Tutti noi ne vogliamo uscire, francamente è un po' scomoda, ma è soltanto la scusa che molti hanno per tirarci addosso. E' come se ci costringessero ad entrare nella curva della Roma con indosso la sciarpa della Lazio.
Ma la colpa è loro, non è affatto nostra. La colpa nostra è quella di manifestare le nostre idee ed affermarle come principi fondanti della vita comune. Detta così, qualcuno un po' superficialmente potrebbe obiettare che la nostra non è una posizione tanto democratica perché esclude a priori le opinioni contrarie. A chi dice così, e sono molti, rispondo con due brevi considerazioni.
Uno. mi dovete spiegare dove stanno le opinioni degli altri, visto che il loro massimo sforzo dialettico consiste nel ricoprirti di offese ed affermare trionfalmente che ognuno è libero di fare ciò che vuole e che la legge deve tutelare questa libertà. E' molto interessante come posizione, ricca di spunti di dialogo, ma non sta tanto in piedi, non vi pare? Anche l'anarchico vuole fare ciò che vuole. Io ad esempio da un po' di tempo giro nudo per strada, canto a squarciagola alle 3 di notte, imbratto i muri dei palazzi ed insegno ai bambini le parolacce e alle bambine a bestemmiare tutti i Santi. Bene, se la legge deve tutelare tutte le libertà indiscriminatamente, allora la nostra Repubblica è fondata sull'anarchia dei desideri. Cari i miei liberali, il vostro Stato in cui ognuno fa ciò che gli passa per la testa, non durerebbe molto. La dimostrazione: la nostra cara vecchia Europa sta beatamente navigando in quel mare di letame che sta tra la dittatura economica cinese e quella culturale americana. E se non si sforza di riaffermare un briciolo di valori è destinata a naufragare nello stesso mare su cui per adesso faticosamente galleggia.
Seconda considerazione. Se dico che un'embrione è una vita umana, intendo automaticamente che la sua distruzione è la distruzione di una vita umana. Allo stesso modo, se dico che lo Stato si fonda sulla famiglia, intendo che senza la famiglia lo Stato non sta in piedi. Se dico che ogni vita è degna di essere vissuta fino alla sua fine naturale, intendo che la sua soppressione è un omicidio-suicidio. Come vedete una posizione esclude l'altra. Aut aut.
Se qualcuno può sentirsi chiamato in causa e condannato, mi creda, faccio delle constatazioni, non giudico affatto i casi personali. So della gravità di certe situazioni, capisco il dolore che si prova e non è giusto giudicare. Ma permettetemi almeno di dire che anche tanti di noi hanno vissuto situazioni dolorose ed hanno fatto con molto coraggio scelte di vita. Permettetemi di stimarle più delle altre e di non bollarle con la solita frasina "hanno fatto scelte diverse". Quelle scelte non sono diverse. Sono difficilissime, ma giuste.
Ma torniamo a quelle etichette, al nostro bisogno di uscire dalla loro cappa soffocante. Tutti siamo d'accordo che per uscirne serve la strada del dialogo, ma dialogo non significa compromesso, su queste cose non esistono compromessi. Sta nella natura stessa di certe idee la loro assolutezza. Il nostro non deve essere uno scontro, non dobbiamo offendere nessuno, non dobbiamo imporre nulla a nessuno. Dobbiamo affermare con precisione ed integrità le nostre idee. Consapevoli che non sono affatto dictat, ma verità, principi su cui fondare uno Stato laico. I pesci in faccia fanno male, ma dobbiamo solo aspettare che siano gli altri a stancarsi di tirarceli.
E se qualcuno, stanco delle offese e delle etichette, ha pensato bene di scendere a compromessi, non lo ha fatto perché "maturo" o "progressista", ma forse perchè ha smesso di credere che si debba rinunciare ad essere amati pur di non rinunciare mai alla propria identità.
Andrea

martedì 10 aprile 2007

«Testamento sì, eutanasia no». E chi lo garantisce?

Stiamo ben attenti quando si parla di testamento biologico, potrebbe essere una soluzione praticabile per scongiurare l'accanimento terapeutico, ma verosimilmente diventerà il nuovo "cavallo di Troia" dei sostenitori dell'eutanasia.

di Ilaria Nava (da "E' Vita", 5 aprile 2007)



«Il testamento biologico non c’entra nulla con l’eutanasia». E a chi proprio non riesce a convincersi, è stato assicurato che «la legge sul testamento biologico ribadirà il divieto sia all’eutanasia che al suicidio assistito». Questo sembra uno dei punti sul quale concordano tutti i protagonisti del dibattito politico sul testamento biologico. Anche il convegno tenutosi in Senato la settimana scorsa ha ribadito questi concetti. Ma cosa si intende esattamente per «eutanasia»? I senatori della Commissione Sanità, guidati da Ignazio Marino, stanno alacremente lavorando ormai da quasi un anno sugli otto progetti di legge in materia di testamento biologico. Ecco, proprio loro cosa intendono quando dicono che non c’è alcun pericolo di introdurre aperture all’eutanasia attraverso il testamento biologico?
Prima di liquidare chi avanza qualche perplessità, accusandolo di evocare l’eutanasia come «fantasma da agitare per spaventare qualche parlamentare» o limitandosi a rassicurarlo con affermazioni generiche, sembra necessario chiarire i termini della questione. Sebbene i sondaggi vengano periodicamente usati per asserire che l’eutanasia sarebbe quotidianamente praticata dai nostri medici e che gli italiani si direbbero favorevoli alla sua legalizzazione, in realtà non sembra affatto semplice sapere di che cosa si sta parlando. Gli stessi firmatari di alcune delle proposte di legge in discussione in Parlamento – tutti componenti della stessa Commissione e quindi quotidianamente impegnati nello studio di questi problemi – non hanno una definizione univoca di eutanasia. Ad esempio, il senatore Antonio del Pennino, (gruppo Dc-Partito repubblicano-Indipendenti-Movimento per l’autonomia), primo firmatario del disegno di legge (ddl) 818, definisce l’eutanasia «un comportamento attivo volto a spegnere una vita». Il collega Piergiorgio Massidda, appartenente allo stesso gruppo e autore di un’altra proposta, parla di «un modo di favorire la morte attraverso un comportamento attivo o omissivo» includendovi, ad esempio, anche i casi di distacco di un respiratore artificiale. Per l’azzurro Antonio Tomassini, che ha depositato il disegno di legge n.3, l’eutanasia è un «atto diretto in qualsiasi modo ad accelerare la morte di una persona, attuabile attraverso la somministrazione di alcuni farmaci o l’omissione di cure finalizzate al mantenimento in vita di una persona che vi ha aderito», come la nutrizione artificiale. Il verde Natale Ripamonti, firmatario del ddl 665, è convinto che testamento biologico ed eutanasia siano cose completamente differenti, anche se ammette che «è difficile definire l’eutanasia perché la questione è molto controversa e deve ancora essere approfondita». Giorgio Benvenuto (Ulivo), che ha presentato la proposta 357, assicura che il testamento biologico non aprirà la strada all’eutanasia ma poi preferisce non cimentarsi con una definizione. Il presidente della commissione Ignazio Marino (Ulivo), primo firmatario della proposta 687 e acceso sostenitore di una legge sul testamento biologico, assicura che la legge «ribadirà il divieto all’eutanasia». Per lui però «l’eutanasia consiste nell’iniettare un veleno nelle vene di un paziente che lo richiede esplicitamente».
Da tutto ciò emerge che la questione è davvero complessa, ma c’è da chiedersi come si possa affermare che l’auspicata legge sul testamento biologico escluderà l’eutanasia, dal momento che non sembra esserci molta chiarezza su cosa sia quello che si afferma di non voler assolutamente legalizzare. E visto che si tratta di vita o di morte, le approssimazioni e i fraintendimenti dovrebbero essere ridotti al minimo.Il testamento biologico in realtà – almeno per come è delineato nei progetti di legge attualmente in discussione al Senato – corre il rischio di legittimare l’eutanasia. Questa, infatti, consiste in un’azione o un’omissione che per sua natura o nelle intenzioni di chi la esegue procura la morte, allo scopo di eliminare ogni dolore. Essa può quindi consistere anche in un’omissione, non sussistendo differenza negli effetti concreti tra l’ipotesi in cui si provoca la morte attraverso la somministrazione di un farmaco letale oppure la sospensione o la mancata attivazione di un trattamento dovuto (intendendosi per tale non certo l’accanimento terapeutico, che è già vietato dal nostro ordinamento, senza bisogno di una legge sul testamento biologico). Chi potrebbe negare, ad esempio, che il medico che lasci morire dissanguato un paziente davanti a sé non abbia compiuto un atto di fatto eutanasico?
La maggior parte dei ddl non pone alcun limite relativo ai trattamenti che si possono rifiutare, e obbligano il medico a eseguire le indicazioni scritte dal paziente, anche qualora dalla sua azione od omissione ne derivasse la morte. Ciò anche quando la terapia sia proporzionata, non inutile, non dolorosa e potrebbe portare alla guarigione.Nel caso del testamento biologico tutto ciò verrebbe eseguito dal medico di fronte a un pezzo di carta, magari datato anni, e non nell’ambito di un rapporto dialettico col paziente. Sembra assai azzardato – visto che si parla della vita e della morte di una persona in quel momento incosciente – dare per scontato che il consenso persista. Sarebbe contrario al principio di precauzione interpretare in senso suicidario indicazioni scritte dal paziente diverso tempo prima e sulla base di una situazione in quel momento totalmente immaginaria. Chi si prenderebbe la responsabilità di affermare che quella persona vorrebbe davvero morire? In questo caso, si potrebbe profilare addirittura un’ipotesi di eutanasia involontaria, ossia senza il consenso della persona, visto che non sembra sufficiente presumerlo.
Tutti i progetti di legge indicano la soluzione del problema nell’istituzione di un fiduciario, nominato dal diretto interessato al momento della stesura del testamento biologico. Il discorso non cambia, anzi, si complica, perché il medico si troverebbe a dover agire in base a ciò che è stato scritto nel testamento biologico interpretato dal fiduciario. In questo caso l’eutanasia sarebbe praticata con il consenso del fiduciario. Nessuno garantisce che il testatore fosse capace di intendere e di volere, o che non abbia subìto pressioni da parte del fiduciario nel momento in cui ha scritto il testamento biologico. Né sarebbe assicurato che le decisioni del fiduciario non siano contaminate da interessi personali, o che il rapporto di fiducia non si sia nel frattempo incrinato.Bastano questi dubbi per lasciar perdere?

venerdì 6 aprile 2007

Lo chiamavano Terapeutico

Una lettera. Il titolo è: “Ecco perché ho scelto di non far nascere la mia bambina”. Leggetela anche voi. “Non so perché la mamma di Firenze abbia scelto di non far nascere il suo bambino. Non lo so e non lo voglio sapere. Credo che nessuno possa saperlo, né tantomeno possa immaginare il dolore che prova. Sono situazioni talmente personali che qualsiasi commento è riduttivo se non offensivo. Ho letto tanto nei giorni scorsi. Illustri opinionisti si sono espressi come se davvero sapessero ciò di cui parlavano. Mi dispiace deluderli. Le frasi fatte, i paragoni assurdi, le morali facili, sono banali e vergognosi. Non so perché la mamma di Firenze abbia scelto di non far nascere il suo bambino. […] E allora la decisione arriva dal cuore. Mio, della mia bambina, del suo babbo. Diventare un angiolino. Un neonato quando viene alla luce ha bisogno di due sole cose: il calore dell’abbraccio della sua mamma e il latte. Sono piccolini, poche decine di centimetri per pochi chili, proprio per essere avvolti meglio dall’odore, dal calore della mamma. Smettono di piangere, così. Sono assolutamente indifesi, non c’è più l’acqua, il silenzio ovattato, il cibo che arriva da solo. Se io e la mia bambina avessimo vissuto cent’anni fa, l’avrei messa al mondo, qualcuno l’avrebbe avvolta in un panno pulito e me l’avrebbe data. L’avrei tenuta tra le braccia, e lì, misteriosamente ma serenamente, sarebbe morta. Oggi no. Oggi la mia bambina sarebbe nata, i nostri sguardi non si sarebbero neppure incrociati, non avremmo nemmeno sentito l’odore l’una dell’altra. Lei non avrebbe mai sentito il calore della mia pelle o il sapore del mio latte. Braccia sconosciute l’avrebbero presa d’urgenza e portata in camera operatoria, dove altre mani fredde, con guanti di protezione, l’avrebbero sdraiata su un letto gelato. Altre mani l’avrebbero tenuta ferma noncuranti del suo pianto, altre ancora l’avrebbero intubata, attaccata a un respiratore, le avrebbero posizionato elettrodi per sentire il cuore, l’avrebbero anestetizzata e aperta col bisturi. Avrebbero cominciato a cercare di riparare quel cuore rotto ancor prima di nascere. [..] Magari ho sbagliato. Non lo saprò mai. Ho sbagliato? Ditemelo voi sapientoni. Voi che avreste fatto? Voi che parlate di aborto selettivo e paragonate quello terapeutico alla rupe di Sparta? Mi sono state prospettate due possibilità: andare avanti e vedere cosa sarebbe successo sperimentando un po’ di chirurgia sulla sua pelle, o interrompere in fretta la gravidanza e salvarla dal dolore sacrificando me stessa. Ho scelto la seconda possibilità. Ho tutelato lei. E forse, in casi come questo, sarebbe meglio un po’ di silenzio”.


E io parlo.
Questa lettera è comparsa una decina di giorni fa sulla rubrica "Invece Concita" de "La Repubblica delle Donne", inserto settimanale dell'omonimo quotidiano. Vi invito a leggerlo, è un ottimo esempio di disinformazione. Un inserto generalmente dovrebbe avere un carattere di approfondimento, ma ditemi voi se se non è superficiale trattare una questione delicata come il caso dell'aborto terapeutico di Careggi pubblicando gli sfoghi di una lettrice. Lasciando stare il fatto che la lettera non ha nessuna firma, né la dicitura solita "lettera firmata", credo proprio che sia questo uno di quei casi piuttosto frequenti in cui si adotta l'escamotage della lettera alla redazione per pubblicare un bel pamphlet demagogico di qualche bravo giornalista della redazione, in questo caso l'agguerrita Concita De Gregorio.
Questo è il loro modo di dialogare: prendono il loro caso umano, lo infarciscono di ideologia e di retorica, lo ammantano di pietà e poi ti mettono alla gogna. Tu che giudichi, tu che tagli le persone a fette con i tuoi pregiudizi e la tua indifferenza.
Ma lo sapevi cara Concita, cos'è un' Atrasia esofagea? Bene, era stata diagnosticata al nostro caro Tommasino, e la sua mamma aveva pensato che forse sarebbe stato meglio non farlo soffrire e che l'aborto sarebbe stato meglio per tutti, mamma e bambino. Io non giudico affatto: racconto. E lo sapevi che da quella malformazione guarisce oltre il 95% dei neonati? E se lo sapevi non ti viene il sospetto che tanto "TERAPEUTICO" quell'aborto non fosse? Il Dizionario della Lingua Italiana definisce "terapia" l'insieme dei provvedimenti atti a combattere una malattia. Penso che la soppressione dell'individuo malato sia certo un metodo sicuro e definitivo per annientare la malattia, soltanto che ha la trascurabile controindicazione di eliminare anche l'individuo. Infine cara Concita ti faccio un'ultima domanda: lo sapevi che ci sono innumerevoli vicende giudiziarie in cui a causa della nascita di un figlio portatore di qualche anomalia i genitori chiedono al medico curante che non l'aveva diagnosticata durante la gravidanza il risarcimento del danno per non aver potuto effettuare l'aborto?
Bene, se 1+ 1 fa 2, l'aborto è terapeutico soprattutto per il medico, che di fronte al dubbio di una malformazione, prima di farsi spillare un lauto risarcimento, preferisce consigliare l'aborto. Si sa, solo nella smorfia ci sono i morti che parlano.
Ecco fatto, tutti contenti. La mamma, il medico e pure il bambino che ha il futuro assicurato da angiolino.

Cara Concita, io ti scrivo lo stesso, ma la mia letterina non la leggerai mai. Sai, dopo un tiepido entusiasmo iniziale le visite in questo blog sono sempre più rare e se cercherai su google forse comparirà alla 67esima pagina.
Ma chi se ne frega.

La lettera di Invece Concita


La verità del Si alla Vita