lunedì 15 dicembre 2008

Via libera alla RU486. Un piccolo vademecum per capire cosa sta succedendo

Carissimi, è giunta l'ora anche per l'Italia. Finalmente anche noi avremo la nostra pillola, finalmente sono state vinte ciche e balorde resistenze, finalmente un altro passo verso la civiltà.

Probabilmente in questi giorni sentiremo diverse volte parole come queste. Ma vediamo di scrollarci si dosso un po' di pregiudizi, un po' di ignoranza e cerchiamo di capire qual'è la verità sulla Ru486.

Cominciamo da uno dei tanti articoli che compaiono in questi giorni su internet e giornali.

 

Via libera alla pillola abortiva «Il governo non può fermarla»

Autorizzazione dell'Aifa: la Ru486 sarà somministrata in ospedale. Da stabilire il prezzo e le modalità prescrizione

Margherita De Bac - www.corriere.it -


È questione di poco tempo l'introduzione in Italia della Ru486, la pillola abortiva. Questa settimana il Consiglio di amministrazione del-l'Aifa, l'Agenzia del farmaco, potrebbe dare il via libera definitivo alla pasticca che ha consentito a milioni di donne in tutto il mondo di interrompere la gravidanza senza entrare in sala operatoria.E il governo non può fare niente, ammette Eugenia Roccella, sottosegretario al Welfare. Questo perché la pillola di fatto aveva già ricevuto il passaporto lo scorso febbraio, autorizzata per procedura di mutuo riconoscimento dal comitato tecnico scientifico dell'Aifa durante il governo di Romano Prodi. Il comitato allora presieduto dall'ex capo dell'Agenzia, Nello Martini, aveva espresso parere favorevole giudicando positivo il rapporto costi-benefici purché il suo impiego fosse coerente con la 194 e fosse previsto solo in ambito ospedaliero. Il meccanismo si è messo in moto e il prodotto è all'ordine del giorno della riunione di fine d'anno del Cda dell'Aifa: «Arrivati a questo punto, non ci sono motivi per dire di no», dicono le persone bene informate sui lavori dell'organismo da cui dipende il prontuario terapeutico del nostro Paese.

«Noi non possiamo fare più niente per bloccare un farmaco che a nostro parere espone a molti rischi. Ma è una truffa dire alle donne che è sicuro e che rende l'aborto facile», contesta Eugenia Roccella, impegnata a denunciare con Assuntina Morresi (ora sua collaboratrice al ministero) i pericoli della Ru486. «Poi questo farmaco ha ancora molti lati oscuri. Ha provocato almeno 16 morti», sottolinea.

«E verrà somministrata in ospedale solo in teoria. Nella pratica le donne firmeranno il registro delle dimissioni e torneranno a casa, senza neppure una notte di ricovero, come è avvenuto nel 90% delle volte nel corso della sperimentazione a Torino. E questo è un rischio», aggiunge il sottosegretario. Dunque l'arrivo in commercio della famigerata pillola a base di una sostanza, il mifepristone, che «blocca il nutrimento » dell'embrione, è ormai una questione di settimane. La ditta francese che la produce, l'Exelgyn, ha già trovato l'azienda cui appoggiarsi in Italia per distribuirla. Restano da stabilire solo il prezzo e le modalità di prescrizione. La Ru486 potrà essere data solo in ospedale e con obbligo di almeno un giorno di ricovero. Non sarà un farmaco da portare a casa, lontane dal controllo medico.

L'unica motivazione che l'Aifa potrebbe avanzare per rimandare il via libera e rinviare le inevitabili polemiche da parte del mondo cattolico (soltanto l'altro giorno il Papa ha rinnovato la sua condanna) sarebbe di carattere economico. Ma sarebbe un arrampicarsi sugli specchi. Eugenia Roccella però vuole continuare la sua battaglia: «Le donne devono sapere che l'aborto chimico non è una passeggiata».

 

Senza fare troppa fatica, leggiamo un paio dei commenti poco più in basso nella pagina web del Corriere della Sera, i primi che capitano tanto per misurare la febbre di alcuni.

Lettore_6392 - Se uno e' contrario all'aborto non lo pratica. Se uno lo accetta come possibilita' ne valuta l'applicazione e al caso esegue. La RU486 e' solo un mezzo nuovo per un propblema (di coscienza) vecchio. Quel che non capisco e' perche' se io -non cattolica- desidero abortire non lo possa fare. Ognuno deve essere libero di agire secondo coscienza. Una societa' e' tanto piu' civile quanto minore e' il numero di questi casi: un aborto e' una sconfitta. Ma non e' coi divieti che si impone la civilta'. E una volta che questa e' legge che i medici la rispettino ... per favore.

Una posizione conciliante: ognuno faccia come vuole. E chi non è d'accordo non venga a rompere le scatole. Se per loro è una cosa ingiusta e abominevole se ne stiano zitti e anzi, se sono medici, oltre a stare zitti la devono pure fare. Cose già sentite, trite e ritrite. Democrazia e libertà allo stato puro. Ma solo per chi la pensa come loro. Passiamo ad un altro.

Felce Azzurra - Libera Chiesa in libero Stato, poi tutto diventa un caso di coscienza. Sarebbe anche ora di smetterla di rendere impossibile il ricorso alla pillola del giorno dopo, con cavilli pretestuosi di medici e farmacisti.

Cavilli pretestuosi di medici e farmacisti? Primo: non credo che la morte di alcune pazienti, oppure la dolorosa espulsione fai-da-te dell'embrione siano semplici cavilli. Secondo: medici e farmacisti sono liberi di esercitare obiezione di coscienza, secondo quelli che sono i loro convincimenti scientifici e morali. Lasciando stare i morali (ovvi), vedremo quali sono quelli scientifici. Un ultimo messaggio, per non provare nostalgia di questa etichetta: integralisti!

Wolfman - Non credo che ci siano commenti dietro le dichiarazioni della Chiesa e del nostro ministro. Siamo gli ultimi e vogloamo rimanere gli ultimi per un pugno di voti dei cattolici più integralisti. Nel rsto del mondo dove la pillola viene usata non ci sono particolari alarmi, pertanto....

Messaggi distensivi e aperti al dialogo, messaggi improntati al rispetto dell'opinione altrui, messaggi per niente ideologici.

 

Passiamo alla pars construens. Vediamo quanto siamo poco integralisti e molto scientifici e soprattutto vediamo come in realtà di allarmi ce ne sono tanti. Nonstante l'ignoranza della gente, imboccata dai media che fanno troppo e male il loro lavoro.

Leggiamo le parole di chi ha studiato il fenomeno Ru486 e cerchiamo di capire la realtà: quello che i media non dicono, quello che molta gente non sa, quello che i sostenitori della pillola abortiva nascondono accuratamente.

E vediamo chi è ideologico, integralista, oscurantista, oppure, nella migliore delle ipotesi, semplicemente ignorante.

Pubblico qui alcuni testi tratti dallo Speciale sulla Ru486, presente sul sito intenet di E'Vita (link).

Per saperne di più: A. Morresi - E. Roccella, La favola dell'aborto facile. Miti e realtà della pillola RU 486, Ed. Franco Angeli (link).

 

Cos’è la Ru 486?
È un prodotto chimico a base di mifepristone, un potente antiormonale che interrompe l’annidamento dell’embrione nell’utero e provoca l’aborto.
Qual è la differenza rispetto alla pillola del giorno dopo?
Anche la cosiddetta pillola del giorno dopo è un preparato che impedisce all’embrione umano di impiantarsi nell’utero. Ma mentre questa deve essere presa entro e non oltre 72 ore dal rapporto sessuale fecondante, la Ru 486 può essere presa fino al 49esimo giorno dall’ultimo ciclo mestruale.
Come si usa?
La Ru 486 viene presa per via orale. Tre giorni dopo la donna deve assumere un’altra sostanza chiamata misoprostol, che provoca le contrazioni necessarie per espellere l’embrione. Dopo dieci giorni è necessaria un’ultima visita di controllo.
Qual è il tasso di efficacia?
Nel 5% dei casi si rende necessario ugualmente un aborto chirurgico. In alcune casistiche la percentuale sale all’8%. A Cuba il tasso di fallimenti è arrivato fino al 16%.
È compatibile con la legge 194?
Per la legge 194 la gestante deve rivolgersi a un consultorio, o a una struttura sociosanitaria abilitata, per svolgere i necessari accertamenti medici (mentre i medici devono aiutarla a rimuovere le cause che la spingono all’aborto). Un tale percorso, con una pausa di riflessione richiesta alla donna di 7 giorni, è difficilmente compatibile con l’uso della Ru 486, che prevede tempi molto ristretti.

 

Di Ru 486 si muore, e non si vuol saperlo
di Assuntina Morresi (8.12.2005)

Era ovvio che la comunità scientifica se ne occupasse, con tutta l’autorevolezza di una rivista come The New England Journal of Medicine (NEJM): quattro donne morte in meno di due anni solo in California, colpite dalla stessa, rara infezione da Clostridium Sordellii, dopo essersi sottoposte ad aborto chimico con la Ru 486.
La spiegazione dei fatti è stata affidata a un articolo firmato da 13 esperti appartenenti ad importanti istituzioni mediche americane, mentre è di Michael F. Greene – editore associato della rivista e direttore della Harvard Medical School a Boston – un editoriale di cui hanno già dato notizia Eugenia Roccella e Nicoletta Tiliacos, sia su Avvenire  sia su Il Foglio. La chiave di lettura dei dati è preoccupante: le morti da aborto chimico negli Usa sono 1 su 100.000, da confrontare con quelle per aborto chirurgico registrate nello stesso periodo della gravidanza: 0,1 su 100.000. Una mortalità dieci volte maggiore, quindi, nel caso della pillola abortiva. Si sottolinea poi che per l’approvazione del mifepristone (principio attivo della pillola abortiva) la Food and Drug Administration ha impiegato ben 54 mesi, mentre ce ne sono voluti meno di 16, in media, per le altre nuove molecole registrate lo stesso anno, il 2000, e che comunque fino ad ora per ben due volte si sono dovuti modificare i foglietti illustrativi della pillola, viste le morti e i pesanti effetti collaterali.
Questa sindrome mortale da shock tossico per Clostridium Sordellii è rara: oltre ai quattro casi registrati, e a un quinto in Canada nel 2001 ancora una volta dopo un aborto chimico, nella letteratura sono stati descritti solo altri nove casi della stessa, mortale infezione, non legati a procedure abortive. Simile la gran parte dei sintomi, soprattutto vomito e forti dolori addominali – normali nel caso di un aborto chimico – e quasi sempre senza febbre, il che impedisce di diagnosticare tempestivamente l’infezione in corso. Le donne morte avevano seguito lo stesso protocollo per l’aborto chimico: nella prima fase, 200 mg di mifepristone – che blocca il progesterone causando la morte dell’embrione – e poi 800 mg di misoprostol, che induce le contrazioni e ne permette l’espulsione. Il misoprostol può essere assunto oralmente oppure, come nel caso delle 4 donne statunitense e della canadese, per via vaginale, con effetti collaterali di minore intensità.
Sui legami fra pillola abortiva e infezione mortale nel New England Journal of Medicine non si formulano ipotesi, anche se si menziona quella del dottor Ralph Miech: l’interferenza del mifepristone con il sistema immunitario potrebbe depotenziare le difese naturali all’invasione del Clostridium Sordellii. Nei due contributi pubblicati dal NEJM non viene chiesto il ritiro dal commercio della pillola, ma si raccomanda particolare attenzione agli operatori del settore, ammonendoli a tener presente questa rara ma letale possibilità. «La mancanza di consapevolezza della gravità della situazione è pericolosa», scrive a proposito Didier Sicard in una lettera pubblicata nell’ultimo numero di The Annals of Pharmacotherapy.
Ne ha parlato il Boston Globe, anche perché Didier Sicard, oltre ad essere il presidente del Comitato consultivo nazionale di etica in Francia, è il padre di Oriane Shevin, ultima vittima lo scorso giugno dell’aborto chimico. Scrive ancora Sicard: «La più recente raccomandazione da parte della FDA sottolinea la particolare attenzione che deve essere prestata per l’uso di questi farmaci prima della loro ampia diffusione e dell’uso generalizzato nei Paesi in via di sviluppo, dove il tasso di infezione batterica è molto alto. In Africa, l’elevata frequenza di infezioni genitali, insieme alle scarse cure mediche, può risultare in un significativo numero di morti se uso e applicazione di mifepristone e misoprostol non sono riesaminati. Questo è vero specialmente alla luce dell’aumento dell’uso in Africa degli spermicidi, che aumentano la carica batterica vaginale».
Speriamo che ne abbia letto Silvio Viale, per il quale le polemiche sulla pericolosità del farmaco sono tutte «balle messe in giro dal movimento per la vita americano, che sfrutta cinque righe che la FDA ha ordinato di inserire nelle controindicazioni della Ru 486» e che ritiene che «prendere la pillola abortiva non è più pericoloso che fare un viaggio in auto: se le vetture avessero i bugiardini le loro controindicazioni sarebbero più numerose». Ma la letteratura scientifica specializzata ha sempre indicato che l’aborto chimico oltre ad essere meno efficace di quello chirurgico presenta pesanti effetti collaterali. Nel marzo del 2000, ad esempio, il NEJM passa in rassegna diverse sperimentazioni di aborto farmacologico, e a quelle eseguite con mifepristone e misoprostol assegna un’efficacia media del 95%, specificando che l’effetto collaterale più pesante è dato dalle abbondanti perdite di sangue, fino a quantità quasi doppie rispetto a quelle per aborto chirurgico. Pure la durata delle perdite è maggiore: si cita in particolare uno studio in cui il 9% delle donne ne ha per oltre trenta giorni, e l’1% per più di sessanta. Anche gli altri effetti collaterali – nausea, vomito, dolori addominali – sono di maggiore entità.
Viene sottolineato che l’aborto medico può essere scelto solo se si ha facilmente accesso a centri specializzati in grado di intervenire chirurgicamente, visto che si potrebbe avere necessità di trasfusioni. Viene ripetuto che il metodo chirurgico è più efficace (99%).

Invece nella sperimentazione presentata da Spitz e dai suoi collaboratori, sempre nel NEJM ma due anni prima, l’efficacia media è del 92%. Il 75% delle donne espelle il "prodotto del concepimento" entro le 24 ore dalla somministrazione del misoprostol. Il 68% ha ricevuto antidolorifici e l’ospedalizzazione è stata necessaria nel 2% dei casi, per interventi chirurgici ma talvolta anche per l’eccessivo dolore e vomito. Il 4% ha avuto infezioni virali. I dati si riferiscono ad aborti fino al 49esimo giorno di gestazione, dopo il quale l’efficacia della procedura chimica diminuisce. Per seguire questa via bisogna quindi accertare con estrema precisione a che punto si è con la gravidanza; d’altra parte se si deve abortire entro le prime sette settimane non c’è molto tempo a disposizione per decidere e scegliere, mentre se ne ha abbastanza per pensarci durante la procedura: 3 giorni considerando la fase acuta – somministrazione di pillole ed espulsione –, 15 compresa la visita finale di controllo, necessaria per verificare che l’utero sia stato effettivamente svuotato, un numero imprecisato di giorni se si considera la possibilità di perdite di sangue molto prolungate. Per chi non vuole ricorrere alla letteratura specialistica è sufficiente scorrere i tanti articoli dedicati alla vicenda dal New York Times.
Da un’inchiesta pubblicata il 14 novembre del 2000 emerge che «molti medici nelle cliniche abortive dicono che consiglieranno le proprie pazienti di scegliere l’aborto chirurgico, perché pensano che sia un metodo migliore. La decisione di offrire mifepristone, dicono alcuni, è dettata più da ragioni di competizione che dalla convinzione che sia un metodo migliore per interrompere una gravidanza». La diffidenza è confermata anche dai dati più recenti, secondo i quali solo il 6% delle donne negli Usa sceglie di abortire con la pillola. Nel 1994, invece, vengono intervistate diverse donne che hanno seguito una procedura di aborto medico in Gran Bretagna, tra cui un’americana di 17 anni. «Mi sono sentita come se stessi morendo», ha dichiarato dopo l’espulsione del feto. Tutte le donne interpellate concordano: più difficile, più doloroso di quanto ci si aspettava. «Mi auguro ancora di trovare una qualche pillola magica che porti via subito tutto. Mi sono meravigliata di quanto facesse male».
E adesso la "pillola magica", attraverso strade le più strane, è arrivata in Italia.

 

Una Ru 486 e via. E se l’aborto capita a casa?

intervista a Renzo Pucetti

Il Consiglio superiore della Sanità ha dato il via libera alla sperimentazione della pillola abortiva Ru 486 così come prevista dal protocollo messo a punto dall’ospedale Sant’Anna di Torino, protocollo che ha recepito le modifiche contemplate nell’ordinanza disposta dal ministro della Salute Francesco Storace. L’organo consultivo del Ministero della Salute ha detto sì anche all’importazione del farmaco: il decreto del ’97 per l’importazione di farmaci non prodotti in Italia può dunque essere applicato anche alla Ru 486. Ma gli esperti hanno posto alcuni paletti: in particolare è necessario, secondo il Consiglio superiore della Sanità, che il consenso informato sia estremamente dettagliato e che la donna che si sottopone all’aborto farmacologico sia ricoverata in ospedale per l’intera durata del trattamento.

In Toscana la pillola Ru 486 è importata dalla ditta produttrice, la francese Exelgyn di Clermont Ferrand, ormai da oltre un mese e mezzo. È dell’11 novembre il primo aborto consumato con l’uso combinato di mifepristone (Ru 486) e misoprostol all’ospedale «Lotti» di Pontedera. Da allora i casi di aborto farmacologico si sono velocemente moltiplicati. «La richiesta della Ru 486 è alta – ha dichiarato nei giorni scorsi Rocco Damone, direttore sanitario della Asl 5 di Pisa – abbiamo allora deciso di introdurre una griglia di accesso molto rigida per selezionare le donne che fanno richiesta di interrompere volontariamente la gravidanza con il metodo farmacologico».

Scuote la testa il dottor Renzo Puccetti, specialista di medicina interna, esponente del comitato Scienza & Vita di Pisa. Puccetti ha studiato a fondo il dossier Ru 486 e ne sa a sufficienza da capire i documenti ufficiali per l’uso della pillola per l’aborto chimico. Vale la pena dunque affidarsi a lui per capire i criteri e le modalità per l’esecuzione dell’aborto medico fatti propri dall’Assessorato regionale al Diritto alla salute e suggeriti ai direttori generali e ai direttori sanitari delle aziende sanitarie della Toscana.

Cosa non la convince?
«Beh, stando a questo documento, la somministrazione del primo farmaco abortivo, il mifepristone, sarebbe prevista in regime di day-hospital. Successivamente la donna dovrebbe tornare a casa e ripresentarsi il terzo giorno per assumere il secondo farmaco, il misoprostol, che favorisce l’espulsione dell’embrione. Anche questo passaggio sarebbe previsto in regime di day-hospital. Se ne deduce pertanto che la donna rimarrebbe in ospedale per alcune ore per poi essere dimessa e presentarsi al quattordicesimo giorno per un successivo controllo. Secondo questo protocollo la donna che intende abortire col metodo farmacologico dovrebbe essere informata della possibilità che l’aborto si verifichi fuori dall’ospedale. È un sistema che non va affatto bene».

Quali sono i motivi di questo giudizio negativo?
«In primo luogo perché si profilerebbe una riduzione del grado di medicalizzazione della procedura d’interruzione della gravidanza, con possibili conseguenze negative per la salute delle donne. Basta ricordare, a questo proposito, che la quasi totalità dei decessi messi in relazione con l’aborto farmacologico è avvenuta in condizioni in cui la donna è stata dimessa, perché la lontananza dall’ospedale ha comportato un riconoscimento tardivo della gravità dei sintomi, spesso insorti in modo assai subdolo. D’altra parte non può restare inosservata la dissonanza tra una procedura che preveda la dimissione della donna dopo la somministrazione dei farmaci abortivi con la legge 194 in cui è espressamente indicato che l’aborto deve essere effettuato in strutture specificamente accreditate. L’espulsione dell’embrione avviene nel 5,3%-6,3% di casi prima dell’assunzione del secondo farmaco, nel 18,7%-22% dei casi 4-24 ore dopo l’assunzione delle prostaglandine e nell’8,2-8,6% dei casi nei giorni successivi. Addirittura, così come riportato nel foglietto illustrativo del farmaco venduto negli Usa, in una percentuale del 9,2-14,8% delle procedure non si riesce a stabilire il tempo di espulsione del feto. In base a quanto emerge da uno studio del 2000, pubblicato sul numero di dicembre della rivista Contraception, i crampi ed il sanguinamento iniziano rispettivamente nell’11% e nel 21,4% dei casi prima di assumere le prostaglandine. Anche non considerando quanto dettato dalla legge 194, la buona pratica medica dovrebbe prevedere il ricovero dalla prima pillola alla fase post-espulsiva, per ridurre il più possibile il rischio per la salute della donna. Le stesse osservazioni mosse dal Consiglio superiore della Sanità».

Lei sta parlando di un protocollo suggerito dalla Regione Toscana. Le strutture ospedaliere che fanno ricorso alla Ru 486 in Toscana quale protocollo hanno adottato?
«Fino a oggi, in Toscana, gli aborti chimici sono stati consumati a Pontedera (che fa riferimento alla Asl 5) e a San Miniato (che fa invece riferimento alla Asl 11 di Empoli). Io conosco il protocollo adottato a Pontedera, che da medico mi rende più tranquillo».

Perché?
«Perché il documento prevede l’ospedalizzazione della donna. Ma sarebbe opportuno conoscere, in particolare dai responsabili sanitari delle strutture in cui l’aborto farmacologico è stato praticato, quante di queste donne hanno abortito rimanendo ricoverate per tre giorni, e quante invece lo hanno fatto al di fuori delle strutture ospedaliere. L’introduzione di una prassi medica che si dovesse discostare con una frequenza solo poco più che eccezionale dal protocollo ufficiale sarebbe un elemento di estrema gravità».

Il Consiglio superiore della Sanità interpellato dal ministro Storace ha, di fatto, considerato lecita l’importazione della pillola abortiva dalla Francia...
«... ma ha stabilito vincoli piuttosto rigidi in proposito. Il decreto prevede infatti che il farmaco possa essere importato solo dichiarando formalmente la mancanza di alternative terapeutiche. Proprio leggendo Avvenire ho appreso che, per un errore del corriere che trasportava le confezioni della Ru 486, alcune donne che dovevano abortire farmacologicamente lo avrebbero poi fatto chirurgicamente: mi sembra inverosimile, allora, che la sussistenza delle alternative terapeutiche dipenda dalla puntualità del trasportatore...».

 

«Cancellata» l'informazione proveniente dagli Usa.
Ru 486, i dubbi clinici oscurati dai paraocchi ideologici

di Eugenia Roccella (05.12.2005)

Cosa diranno, adesso, tutti coloro che hanno prospettato l’introduzione in Italia della pillola abortiva, la Ru 486, come la nuova grande battaglia per la salute e la libertà delle donne? Cosa dirà chi giurava a destra e a manca «è un metodo sicuro e indolore, il più sicuro e il più indolore»? Sul New England Journal of Medicine, una delle testate scientifiche maggiormente accreditate in campo internazionale, è apparso il primo dicembre un articolo che mette severamente in guardia dai rischi dell’aborto chimico, e invita gli operatori a usare la massima cautela.
L’autore, il dr. Michael Greene, professore alla Harvard Medical School e prestigiosa firma della rivista, ricorda come la Food and Drug Administration sia stata costretta a modificare, per ben due volte in otto mesi, le avvertenze che riguardano il mifepristone, a seguito delle morti avvenute negli Stati Uniti per choc tossico da Clostridium Sordellii.
Inoltre sottolinea come le donne decedute fossero tutte giovani e in buona salute; nessuna di loro presentava visibili complicanze, nemmeno la febbre, e l’unico sintomo di cui si lamentavano era costituito da forti crampi addominali, problema del tutto comune tra chi assume la pillola abortiva. Morti, dunque, silenti e ingannevoli, asintomatiche e rapide, contro cui è stato impossibile lottare. Ma soprattutto, il dr. Greene ragiona seriamente sulle percentuali di mortalità dell’aborto chimico. Poiché la Ru 486 si può utilizzare solo fino all’ottava settimana di gestazione, bisogna paragonare il rischio con quello delle altre procedure abortive fino alla stessa data; è ovvio, infatti, che l’aborto chirurgico, che si può effettuare anche oltre questo limite (e in alcuni paesi anche senza limite alcuno) è tanto più rischioso quanto più la gravidanza è avanzata.
Se confrontato con questi criteri, gli unici corretti e scientificamente ammissibili, il tasso di pericolosità del metodo chimico si rivela 10 volte più alto di quello chirurgico. Una percentuale pesante, difficile da ignorare. Eppure, è possibile che venga ignorata. In Italia i sostenitori della pillola abortiva, e purtroppo gran parte della stampa, tendono a sorvolare sui fatti per puntare euforicamente sull’ideologia: si discute sulla contrapposizione laici-cattolici, su chi vuole costringere le donne ad abortire con dolore e chi invece, avendo a cuore il loro bene, le vorrebbe far abortire con aerea leggerezza.
Dei fatti, e delle cautele che i fatti impongono, nessuno vuole sapere, né discutere pubblicamente. Silvio Viale, il medico che per primo ha chiesto la sperimentazione della Ru 486, e che si è poi candidato alla segreteria del Partito radicale, in un’intervista apparsa sul «Secolo XIX» ha liquidato le perplessità espresse dalla Fda come «Balle messe in giro dal movimento per la vita americano». Viale, però, è in primo luogo un militante politico; meno facile è capire perché i nostri più diffusi e seri quotidiani si siano appiattiti su un’informazione sbilanciata, che tende a sorvolare sui rischi reali del metodo chimico. Il «New York Times», tempio dei liberal americani, ha dato conto del dibattito sulla Ru 486 sempre con grande equilibrio, ospitando più volte voci contrarie e notizie allarmanti.
Non solo ha riportato esaurientemente la notizia delle morti da choc tossico, ma già nel 2002 (il 25 settembre) aveva pubblicato un lungo articolo sulla diffidenza generalizzata degli operatori sanitari nei confronti dell’aborto chimico, e sui motivi per cui negli Usa pochi medici lo consigliano e poche donne vi ricorrono. Aspettiamo fiduciosi che la nostra stampa si adegui.

 

Ru 486, effetti collaterali killer

di Riccardo Cascioli (5.1.2006)

Otto donne morte in 4 anni, emorragie e infezioni che in molti casi mettono a rischio la vita, con terapie che vanno dalla trasfusione all’intervento chirurgico. E soprattutto, una gravissima sottovalutazione di queste patologie da parte dell’Ente federale preposto al controllo. Sono questi i risultati più clamorosi presenti nella ricerca di due dottoresse americane riguardo i 607 casi di effetti collaterali sull’uso della pillola abortiva Ru 486 presentati alla Food and Drug Administration (Fda), l’ente americano che autorizza e controlla la commercializzazione dei prodotti farmaceutici. E in Congresso aumentano le voci di coloro che vogliono riaprire la discussione sulla legalizzazione della Ru486 voluta nel 2000 con procedura d’urgenza dall’amministrazione Clinton.
Lo studio, firmato da Margaret M. Gary e Donna J. Harrison, si intitola Analysis of Severe Adverse Events related to the use of Mifepristone as an abortifacient (Analisi dei gravi effetti collaterali registrati per l’uso del mifepristone come abortifaciente) e sarà pubblicato sul numero di febbraio della rivista The Annals of Pharmacotherapy ma è già consultabile sul sito degli Annali all’indirizzo www.theannals.com/cgi/content/abstract/aph.1G481v1. I risultati si basano sull’esame dei 637 casi di effetti collaterali (riferiti a 607 pazienti) presentati alla Fda tra il settembre 2000 (data della commercializzazione negli Stati Uniti) e il settembre 2004. Si tratta perciò di una casistica tutt’altro che completa, inoltre 592 casi sono stati inoltrati alla Fda dallo stesso distributore del mifepristone e la maggioranza della documentazione allegata sull’evoluzione dei disturbi e sull’efficacia delle terapie, risulta molto lacunosa.
È però abbastanza per comprendere quali siano i rischi per la salute delle donne – oltre che ovviamente del bambino –- nell’uso della pillola abortiva. Gli effetti maggiori registrati sono infatti l’emorragia (237 casi) e le infezioni (66). Per quanto riguarda l’emorragia, in un caso è stata fatale, mentre in 42 casi c’è stata una seria minaccia alla vita e in altri 168 una situazione grave. In totale, 68 volte si è dovuti ricorrere alla trasfusione. Le infezioni dal canto loro, seppur meno numerose si sono rivelati più gravi per le conseguenze: ci sono stati infatti sette casi di choc settico, di cui 3 risoltisi con la morte della donna e 4 con un salvataggio in extremis. In tutto 513 volte si è dovuti ricorrere all’intervento chirurgico, d’emergenza in 235 casi.

La superficialità con cui è stata somministrata la Ru 486 viene dimostrata dal fatto che in ben 17 casi si è intervenuti d’urgenza per gravidanze extrauterine non diagnosticate e per le quali l’uso del mifepristone risulta fortemente controindicato (anche qui una donna ha perso la vita). Un risultato inatteso è anche la rilevanza di forme allergiche, come dimostrano otto casi di grave orticaria. Per quanto riguarda le morti, nei 607 casi all’esame della Fda ne sono registrate 5: due donne californiane, per sepsi; una donna del Tennessee, conseguenza di una gravidanza extrauterina; una donna britannica, ancora per sepsi, una adolescente svedese per emorragia. Ma il rapporto cita altre tre morti certe legate alla Ru 486, e tutte per sepsi: una donna canadese che partecipava alla sperimentazione; una californiana di origine asiatica (dicembre 2003), una californiana bianca (giugno 2005). Solo una di queste è avvenuta dopo il periodo considerato dall’analisi, il che rafforza la convinzione che la casistica per le gravi conseguenze negative dell’uso della Ru 486 sia ancora in buona parte sconosciuta. Un altro dato allarmante che emerge da questo studio è l’uso della pillola abortiva tra le adolescenti: infatti, proprio per le caratteristiche di maturazione fisica richieste, nelle sperimentazioni del mifepristone – sia negli Usa sia in Francia – sono state escluse le minorenni. Ciò vuol dire che la Ru486 viene distribuita alle adolescenti senza neanche una sperimentazione previa, e che la denuncia di gravi effetti collaterali è la prima informazione pubblica disponibile sull’uso clinico del mifepristone tra ragazze di 13-17 anni.

Una questione normalmente non presa in considerazione riguarda anche le conseguenze del "fallimento" della Ru 486, ovvero il proseguimento della gravidanza che – secondo i casi registrati – accade nell’8% dei casi per l’assunzione del farmaco entro i primi 49 giorni e sale fino al 23% nei successivi 14 giorni. Un tasso di fallibilità molto alto che per i feti sopravvissuti si risolve con un 23% di possibilità di malformazione. Dal rapporto infine emergono gravi responsabilità della Fda e del suo sistema di sorveglianza sui farmaci già in commercio. Una questione importante, non solo in  sé, ma anche perché – come sottolinea il rapporto – «la scelta di abortire con mifepristone anziché attraverso l’intervento chirurgico si basa essenzialmente sulle percezioni della paziente riguardo a sicurezza, convenienza e privacy, ma queste percezioni non riflettono esattamente la realtà delle cose». Questo è un punto chiave perché è evidente dalla storia della commercializzazione della Ru 486, la prevalenza degli interessi politico-ideologici ed economici su quelli più strettamente medici, tanto che la Fda fu messa sotto pressione a suo tempo anche dall’amministrazione Clinton che l’ha spinta a usare una procedura d’urgenza per la commercializzazione del mifepristone, procedura finora usata soltanto per farmaci salva-vita. Anche per andare a fondo su questi aspetti, in dicembre si è insediata una commissione d’inchiesta nel Congresso. Il primo atto è stata una lettera inviata il 21 dicembre alla Fda, per chiedere chiarimenti sui controlli effettuati riguardo ai problemi medici derivati dall’uso del mifepristone. In particolare la Commissione chiede di sapere per quale motivo solo pochi mesi fa la Danco Laboratories (distributrice del farmaco) si è degnata di aggiungere i rischi di infezione batterica (che come abbiamo visto sono i più letali) tra gli effetti collaterali descritti nel foglietto delle modalità d’uso.

Una seconda questione importante su cui la Commissione intende indagare è l’uso della Ru 486 e dell’associato Misopristol secondo modalità non approvate dalla Fda. È emerso infatti che i medici di Planned Parenthood (massima organizzazione abortista a capo di una capillare rete di cliniche e consultori) prescrivono l’uso vaginale del Misopristol (il farmaco che va assunto in combinazione con il Mifepristone per facilitare l’espulsione del feto) che dovrebbe essere preso invece per via orale. Ci sono infatti molti sospetti che le morti per sepsi siano correlate all’uso non consentito della pillola, anche se Planned Parenthood nega questa coincidenza.

3 commenti:

Anonimo ha detto...

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